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Il successo de Il Post raccontato dal suo direttore editoriale

In primo piano, a sinistra, il direttore editoriale Luca Sofri, sullo sfondo la redazione de Il Post

«La gente è disposta a pagare per le notizie anche se può ottenerle gratuitamente: il caso de Il Post». È la traduzione del titolo di un articolo della newsletter A Media Operator che ha intervistato Luca Sofri, direttore editoriale de Il Post, sui risultati degli abbonamenti e della sostenibilità economica del giornale.

Nell’intervista troverete tanti dati sugli aspetti economici e sul successo di quello che è uno dei siti di informazione più interessanti in Italia. A mio modesto parere, il concetto centrale di questa intervista resta questa domanda: in un mondo saturo di informazioni, dove ogni notizia sembra a portata di clic, ciò per cui le persone pagano sono davvero le notizie o è la credibilità di chi le racconta?

In sei anni ricavi cresciuti del 900%

Negli ultimi sei anni, Il Post ha visto crescere i propri ricavi del 900%, raggiungendo 9,4 milioni di euro di fatturato e un utile di 800.000 euro nel 2024. Tutto questo senza introdurre alcun paywall. Un risultato che smentisce l’idea, ormai radicata, che il giornalismo online possa sopravvivere solo chiudendosi dietro un abbonamento obbligatorio.

Oggi circa 110.000 persone pagano per un prodotto che rimane gratuito.

In precedenza, Il Post era rimasto a galla. “Avevamo 1 milione di euro (1,2 milioni di dollari) di spese e 1 milione di euro di ricavi pubblicitari”, ha dichiarato Sofri. Durante quel periodo, dal lancio nel 2010 al 2018, la redazione è cresciuta modestamente, passando da sei a 15 giornalisti.

Negli ultimi sei anni, i ricavi sono cresciuti del 900% e il 70% di questi proviene dagli abbonati paganti de Il Post, che pagano lo stesso prezzo dal 2019.

Oggi Il Post conta circa 500.000 lettori giornalieri.

Nel 2024, Il Post contava 90 dipendenti, 45 dei quali in redazione. Le nuove assunzioni hanno rappresentato la maggior parte dei suoi 8,6 milioni di euro (10 milioni di dollari) di costi operativi dello scorso anno, lasciando un utile di 800.000 euro (930.000 dollari).

Sebbene la pubblicità rappresenti ora solo il 25% del fatturato, il fatturato pubblicitario totale rimane pressoché invariato rispetto ai primi giorni: 1 milione di euro.

Il restante 5% dei ricavi proviene dagli eventi dal vivo, dai libri e dai prodotti di merchandising.

Il paradosso del gratuito

Come spiega Luca Sofri, la scelta di pagare per ciò che è disponibile a tutti non nasce dal bisogno di esclusività, ma dal desiderio di appartenenza.

Il modello de Il Post – ha spiegato – è ispirato a quello del Guardian e si fonda su una promessa semplice: non un muro che separa, ma un invito a partecipare. Chi si abbona lo fa per sostenere un certo tipo di giornalismo — sobrio, preciso, paziente — e per usufruire di un’esperienza senza pubblicità, con podcast, newsletter dedicate e incontri dal vivo.

Luca Sofri, direttore e fondatore, ha costruito Il Post partendo da una provocazione: “Molte cose vengono date per scontate, ma non lo sono”.

In un panorama mediatico dominato dal sensazionalismo, la scelta di “spiegare le cose” è diventata un vantaggio competitivo.

Una comunità, non un pubblico

Il successo economico del giornale non si misura solo negli abbonamenti, che oggi rappresentano il 70% dei ricavi. Attorno alla testata si è formata una community riconoscibile, alimentata da eventi, incontri, libri e merchandising.

I “Talk del Post”, weekend di incontri e dibattiti, attirano migliaia di persone. Non solo lettori: partecipanti.

È una forma di giornalismo che si estende fuori dallo schermo, in spazi fisici dove l’informazione diventa esperienza condivisa. Un modello che trasforma il lettore da consumatore a parte attiva del progetto.

Due generazioni, un equilibrio

C’è poi un dato sociologico interessante.

Il pubblico quotidiano de Il Post è composto in gran parte da lettori tra i 20 e i 40 anni, ma gli abbonati che ne garantiscono la sostenibilità economica appartengono alla fascia 40–60.

Detta brutalmente, i primi rendono il giornale figo, i secondi lo tengono in piedi.

Il valore della fiducia 

In sei anni Il Post ha dimostrato che la sostenibilità economica del giornalismo non dipende solo dai modelli di business, ma dal rapporto di fiducia con il lettore.

Il Post porta avanti anche un “progetto parallelo”, come lo definisce Sofri, ovvero la traduzione in italiano di libri di saggistica, come Traffic di Ben Smith, co-fondatore di Semafor.

E potrebbe esserci altro in arrivo. “Io dico che dovremmo aprire un bar, o una libreria”, ha detto Sofri, “per portare le nostre cose in luoghi diversi e in formati diversi”.

In un’epoca in cui la quantità ha divorato la qualità, la vera scarsità non è l’informazione: è la credibilità. E forse è proprio per questo che decine di migliaia di persone hanno deciso di pagare per qualcosa che potrebbero leggere gratis.

Non per possedere un’informazione in più, ma per credere ancora in qualcuno che la racconti bene.