C’è una trasformazione che sta avvenendo proprio sotto i nostri occhi, spesso senza che ne cogliamo la portata rivoluzionaria. Il modo in cui ci informiamo sta cambiando radicalmente, e non si tratta solo di una questione tecnologica: è una ridefinizione profonda del nostro rapporto con la conoscenza, l’autorità e in parte anche con la verità stessa.
Un recente studio condotto in 24 paesi (basandosi sui sondaggi del Reuters Institute Digital News Report del 2024 e 2025) ci offre uno sguardo illuminante su questo cambiamento. I dati raccolti rivelano un ecosistema informativo frammentato, dove 40.000 creatori digitali spesso surclassano i media tradizionali, ottenendo l’attenzione del pubblico, specialmente quello più giovane.

Un mondo diviso in due
Ciò che emerge con forza è l’estrema eterogeneità di questo fenomeno, una geografia dell’influenza che racconta storie profondamente diverse. In Brasile, Indonesia, Kenya, Nigeria, Filippine, Thailandia e Messico, i creatori digitali hanno ormai eclissato i media tradizionali. In Kenya, l’attenzione verso i creator è addirittura 15 volte superiore rispetto ai Paesi Bassi. Al contrario, nel Nord Europa – Germania, Norvegia, Paesi Bassi – e in Giappone, le testate giornalistiche mantengono ancora il loro predominio.

Questa geografia ci parla di fiducia in larga parte persa dai media tradizionali e di bisogni informativi insoddisfatti o non ancora colmati. Ma ci parla anche di democrazia e di un futuro – dove i news creator contano molto più dei media tradizionali – che potrebbe arrivare presto anche in Italia, dove al momento si registrano ancora pochi casi davvero significativi.
Piacciono soprattutto agli under 35

Analizzando chi consuma queste nuove forme di informazione, emerge un dato che non si può ignorare: l’età è il fattore determinante. Gli under-35 prestano più attenzione ai creator (48%) che ai media tradizionali (41%), mentre per gli over-35 il rapporto si inverte decisamente. Negli Stati Uniti, più di un terzo dei giovani sotto i 30 anni riceve regolarmente notizie da creator e influencer.
Questa frattura generazionale non è solo una questione di preferenze estetiche o di piattaforme utilizzate. È qualcosa di più profondo: rappresenta un diverso modo di concepire l’autorità informativa, la credibilità, persino il concetto stesso di “notizia”. I giovani cercano “voci autentiche”, “personali”, “non filtrate dalle logiche delle grandi redazioni”. Cercano qualcuno che parli la loro lingua, che condivida i loro codici culturali.
In questo senso colpisce particolarmente la capacità di alcuni commentatori politici americani – Joe Rogan, Tucker Carlson, Ben Shapiro – di esportare le loro narrazioni anti-establishment oltre i confini nazionali. In Australia, l’87% dei 15 nomi più menzionati sono stranieri, prevalentemente americani o britannici. È la dimostrazione che le piattaforme digitali hanno dissolto i confini geografici del discorso politico, creando comunità transnazionali unite da percezioni condivise più che da appartenenze territoriali.
La polarizzazione e la minoranza femminile

Uno degli aspetti più inquietanti di questa rivoluzione è la profonda disparità di genere: l’85% dei principali creatori di notizie sono uomini. In Canada, la top 15 è interamente maschile. Questa statistica non è solo un numero. Basti pensare che tra i creator i commenti politici sono di fatto un terreno quasi esclusivamente maschile, mentre le donne trovano più spazio in settori come il lifestyle o l’infotainment. Le Filippine rappresentano un’eccezione significativa, con solo il 46% di uomini tra i più menzionati.
Altrettanto preoccupante è la tendenza alla polarizzazione politica. Nonostante a livello aggregato non esistano differenze significative nell’attenzione complessiva ai creator basate sull’orientamento politico, l’analisi dei contenuti consumati rivela una forte presenza di “eco chamber”, cioè di bolle informative. Nei paesi polarizzati come Stati Uniti e Brasile, il pubblico è esposto principalmente a creator che confermano le proprie visioni. La destra, in particolare, sembra aver colonizzato più efficacemente questo spazio, con commentatori conservatori e libertari che dominano le classifiche nei mercati anglofoni.
La piattaforma più amata
YouTube si conferma il regno incontrastato dei news creator, con il 12% delle persone a livello globale che presta attenzione a personalità su questa piattaforma – più di Facebook (9%), Instagram (8%), TikTok (8%) e X (6%). In Corea del Sud, il 50% delle persone guarda regolarmente notizie su YouTube, contro una media globale del 30%. In India, con i suoi 491 milioni di utenti, YouTube rappresenta insieme a Instagram il network più cruciale per i creator indipendenti.

Eppure, il panorama è più complesso di quanto sembri. Ogni piattaforma ha sviluppato il suo ecosistema specifico: i commentatori politici gravitano su X e YouTube, gli “explainer” che semplificano le notizie preferiscono YouTube, TikTok e Instagram per raggiungere il pubblico più giovane. Facebook mantiene un ruolo cruciale in Asia e Africa, mentre Instagram è diventato una piattaforma politica chiave in Brasile e Indonesia.
Questa frammentazione rappresenta una sfida per chi cerca di comprendere – e forse governare – il flusso informativo contemporaneo. Non esiste più un’agorà centrale, ma mille piazze diverse, ciascuna con le proprie regole e le proprie tribù.
La risposta dei media tradizionali
Di fronte a questa rivoluzione, le testate giornalistiche si trovano di fronte a scelte difficili. Competere direttamente con i creatori sul loro terreno? Collaborare con loro? Enfatizzare la propria credibilità e rigore come elementi distintivi?
Probabilmente non esistono risposte semplici. Per il commento politico la sfida è alta – difficile competere con personalità che hanno costruito comunità fedeli. Per le inchieste originali quello dei media tradizionali rimane un vantaggio competitivo, a patto di investire in risorse (cosa che tante testate hanno sempre più difficoltà a fare). Per i contenuti esplicativi non c’è dubbio che i media tradizionali debbano imparare nuove tecniche narrative, come ha fatto con successo HugoDécrypte in Francia.
Alcuni creatori di successo si stanno già trasformando in imprese mediatiche, con staff e strategie articolate. Questa convergenza tra mondo dei creatori e giornalismo tradizionale indubbiamente solleva questioni urgenti su standard, responsabilità e sostenibilità economica.
Osservando questo panorama, si provano sentimenti contrastanti. Da un lato, c’è l’indubbia energia creativa dei creator e la loro capacità di parlare a pubblici che i media tradizionali hanno perso. Dall’altro, ci sono i rischi di una polarizzazione amplificata, la frammentazione della sfera pubblica, la riproduzione di vecchie esclusioni, la prevalenza di voci maschili e conservatrici.
Una cosa è certa: non si torna indietro. L’ecosistema informativo è diventato più disordinato, più creativo, più difficile da navigare. Richiederà da parte nostra – come pubblico – nuove competenze: dobbiamo coltivare il confronto gentile, avere uno sguardo critico verso le fonti e la consapevolezza che i nostri bias cognitivi rappresentano un problema, tanto quanto gli algoritmi. Dobbiamo anche capire quanto sia importante ascoltare voci autentiche che non confermino le nostre certezze, ma che ci mettano in crisi.
PS. Per aggregare i dati e creare i grafici di questo articolo ho usato l’intelligenza artificiale
