C’è un paradosso che caratterizza il nostro tempo: mentre noi adulti giustamente ci interroghiamo su cosa significhi vivere nell’era dell’intelligenza artificiale, i nostri adolescenti l’hanno già integrata nelle loro vite. È ciò che emerge dal Future Report, una ricerca commissionata da Google e realizzata da Livity che ha coinvolto oltre 7.000 adolescenti in tutta Europa.
In questo articolo ci interessa in particolare la ricerca condotta su oltre mille giovani italiani tra i 13 e i 18 anni, perché credo possa offrire a genitori, insegnanti ed educatori uno sguardo prezioso su questa generazione che sta crescendo con l’AI.
[Spoiler, come dicono i giovani] Ciò che emerge non è il ritratto di giovani passivi, ipnotizzati dagli schermi, ma quello di una generazione più critica e riflessiva di quanto spesso crediamo e scriviamo.
L’AI come Alleata dell’Apprendimento
Quella di Martino potrebbe sembrare uno slogan pubblicitario. Ma ci ricorda una verità che spesso sfugge al dibattito adulto: l’AI non è un oracolo infallibile, ma un sistema che ha imparato attraverso tentativi ed errori, proprio come noi.
I dati confermano un’adozione massiccia, ma – sottoline la ricerca – «non si tratta di una dipendenza acritica. Questi giovani utilizzano l’AI principalmente per il supporto scolastico, le traduzioni e i compiti a casa, trasformandola in un tutor personale sempre disponibile».
Ciò che emerge da questo rapporto è anche il modo in cui gli adolescenti intervistati percepiscono i benefici concreti dell’intelligenza artificiale: il 44% apprezza la capacità dell’AI di spiegare concetti complessi in modi diversi, adattandosi ai diversi stili di apprendimento. Il che crea una personalizzazione dell’educazione che i sistemi scolastici tradizionali faticano ancora a garantire.
Il divario tra scuola e realtà
Qui emerge una frattura significativa. Mentre gli adolescenti integrano l’AI nel loro percorso formativo, il 42% delle scuole italiane ne vieta l’utilizzo.
Anche quella di Anita sembra una frase slogan. Ma è indubbio che il problema esista: spesso il rifiuto degli adulti non nasce da una valutazione ponderata dei rischi dell’uso dell’IA, ma da una paura della tecnologia. In ogni caso, secondo la ricerca, gli adolescenti non chiedono libertà illimitata, ma formazione strutturata. Vogliono che le istituzioni li accompagnino.
Un pensiero critico inaspettato
Contrariamente a certi stereotipi, questa ricerca dimostra che i nostri ragazzi avrebbero una buona capacità critica. Il 55% degli adolescenti intervistati valuta sempre o spesso l’attendibilità delle informazioni online.
Secondo il Future Report, i nostri ragazzi mantengono nell’uso dell’AI uno scetticismo più che discreto. La fiducia nelle informazioni generate dall’intelligenza artificiale si attesta su un 6,3 su 10 – né cieca accettazione né rifiuto totale.
I video contano più di tutto
Questa è una conferma: per i nostri adolescenti, i video contano più di tutto. Il 75% guarda contenuti video più volte a settimana, con YouTube che funge da vero e proprio ecosistema educativo.
Un equilibrio possibile
Anche qui la ricerca ci riserva alcune sorprese. Una delle scoperte più importanti riguarda il benessere digitale. Contrariamente all’immagine di una generazione incollata agli schermi, il 69% degli adolescenti italiani dichiara di mantenere un buon equilibrio tra vita online e offline – dato significativamente superiore alla media europea del 57%.
Ma c’è un’iniquità preoccupante
Tuttavia, sotto questa superficie incoraggiante si nasconde un’iniquità preoccupante. Il pensiero critico e le buone pratiche digitali non sono distribuite equamente: gli adolescenti di famiglie con reddito più alto verificano le informazioni molto più frequentemente (68%) rispetto a quelli di contesti a basso reddito (51%).
Il futuro secondo i ragazzi
Alla fine del rapporto emerge anche la visione che i nostri adolescenti hanno del futuro tecnologico. «Non chiedono protezione paternalistica o libertà assoluta, ma partecipazione attiva. Vogliono essere ascoltati, coinvolti nella progettazione delle tecnologie che useranno». Le loro richieste sono chiare: tecnologie inclusive, accessibili indipendentemente da condizione economica o età; formazione strutturata su uso sicuro e consapevole; avere voce nelle decisioni che li riguardano.
Arrivati a questo punto, viene da pensare che questa generazione non abbia bisogno di essere salvata dall’AI, ma accompagnata con intelligenza e rispetto.
«Il vero rischio non è la tecnologia in sé, ma l’incapacità delle istituzioni – scuole, famiglie, policy maker – di tenere il passo con la loro evoluzione. Dobbiamo colmare il divario tra chi ha accesso a supporto e formazione e chi ne è escluso. Dobbiamo ascoltare davvero questi giovani, non come oggetti di studio ma come interlocutori alla pari».
Perché – è bene ricordarlo ancora una volta – il futuro digitale non si costruisce per gli adolescenti, ma con gli adolescenti.
